Disamistade

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Scheda Artistica

REGIA di Michele Guaraldo
Con : Maria Augusta Balla, Giorgia D’Agostino, Michele Guaraldo,Paola Raho, Valentina Volpatto
Elaborazione del testo : Michele Guaraldo
Tecnico: Luca Busnengo

Se ognuno sa, esperto, l’ingenuo linguaggio
dell’incredulità, dell’insolenza
dell’ironia,nel dialetto più saggio
e vizioso chiude nell’incoscienza
le palpebre, si perde in un popolo
il cui clamore non è che il silenzio
Pier Paolo Pasolini, da “L’appennino”

Volevamo proporre uno spettacolo che parlasse di un conflitto, volevamo soffermarci sul problema della manipolazione delle notizie, ma ci chiedevamo che cosa avevamo noi da aggiungere ad un tema tanto attuale e tanto scontato. Ci è capitato tra le mani un libro: Edipo sulla strada di Henry Bauchau in cui il bandito Clios racconta di amore, musica e danza, consumati nella guerra. Questo racconto, dalla grande forza visionaria, ci dava la possibilità di lavorare sul tema del conflitto con materiale che riguardasse ognuno di noi ma racchiuso in una piccola realtà. Abbiamo pensato che come racconto doveva essere narrato, e chi meglio di un gruppo di comari poteva raccontarne i fatti, stravolgendo, modificando e mischiando le carte in tavola, andando così ad indagare quel misterioso mondo che è l’informazione, così suscettibile di piccole e grandi variazioni e interpretazioni soggettive. In scena ci sono cinque piangenti: il pianto rituale affonda le sue radici in origini antichissime, secondo la tradizione classica, già attestata in Omero ed Euripide, è necessario favorire la partenza dell’anima del morto nell’aldilà con canti rituali e lamentazioni che ripropongono i maggiori meriti del defunto, ne narrano la vita, ne piangono il distacco e la partenza dai famigliari, ma questo non è che un esempio di un istituzione che si ritrova, pur se in molteplici forme,  in tutte le culture del mondo. In questo caso le prefiche, professioniste del rituale funebre, spinte al racconto da un’ultima arrivata che sconvolge la gerarchia sancita da tempo, iniziano a narrare la vita del defunto. Ma esse sono portatrici di una loro verità, verità parziale che si mischia all’invenzione, alla maldicenza, si fonde col millenario sapere popolare, costituito da detti, proverbi, canti e racconti; parallelamente esse avvertono il desiderio di stupire, il bisogno di essere al centro dell’attenzione con qualcosa che però non appartiene loro, che hanno rubato a qualcuno, di cui si fanno detentrici come fonti autorevoli e assolutamente sopra le parti. La comare non sa niente ma finge di sapere, come uno scrittore, costruisce personaggi, infittisce le trame, crea la suspance e, con sapiente arte oratoria, arriva alla soluzione finale quando l’uditorio è completamente nelle sue mani, attonito e perplesso, ma incapace di distinguere la verità oggettiva dal calembour della finzione, il ricciolo della frottola. Raccontano di una guerra le piefere, di uno scontro violentissimo tra due clan, detentori questi, di due saperi diversi:  uno è il clan del canto, l’altro è il clan della danza, due arti antichissime, così differenti, ma allo stesso tempo così vicine. Ci sono due ragazzi che si scoprono curiosamente attratti l’uno dell’altro, diventano amici ma appartengono alle due diverse fazioni. La loro amicizia è contrastata dal profondo senso di devozione nei confronti del clan, il senso di appartenenza e l’influenza che il clan ha su di loro sono troppo forti per poterli spezzare. Si spieranno da lontano, comunicando attraverso le loro arti, svelando i segreti del proprio sapere; la cultura del clan,le sue regole non impediranno ai due ragazzi di conoscersi nell’isolamento dei monti. Ma questa conoscenza non ferma la guerra, la paura e l’odio, essa non spezza le catene che li costringe a restare fermi e dimenticare e il conflitto va avanti accelera, annienta e uccide. Nel momento della sua soluzione, sia essa tragica oppure lieta la storia si interrompe, come nei peggiori feuilleton: sul più bello. Le comari iniziano una violenta discussione su come in realtà è andata a finire: chi dice cosa, chi ne ribatte un’altra, la verità non si conoscerà mai, perché un altro conflitto si innesca tanto violento e cruento quanto il primo e la verità si perderà come una goccia di pioggia nell’oceano. Un racconto che si fa azione, che diventa immagine sotto le grandi capacità evocatrici delle comari che ne danno notizia; un gioco al massacro, a chi la spara più grossa, un divertimento di finzioni e bugie, l’incontro di due mondi diversi ma che si potrebbero completare,  un coro di canti, ritmi e giochi verbali. Cinque maschere che proiettano un mondo di tragedia, di violenza, in maniera grottesca, esagerata, fuori dalle convenzioni, surreale ancorché estremamente autentico. Un coro che commenta apparentemente fuori dall’azione, per nulla coinvolto, ma che a mano a mano si scopre più all’interno che all’esterno, vincolato e complice dell’azione.

Foto di Stefano Roggero

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